La Terra - Il Vulcanesimo Bookmark and Share


Fenomeno che si manifesta come risalita, dalla parte alta del mantello, di materiali rocciosi allo stato fuso (magmi) mescolati a gas e vapori; si tratta di un processo isostatico, dovuto alla minor densità delle masse fuse rispetto ai materiali circostanti. Il magma si forma tra i 15 e i 100 km di profondità a causa di particolari condizioni fisico-chimiche e l’attività vulcanica persiste fino all’estinguersi di tali condizioni.

I Vulcani

Gli edifici vulcanici si formano progressivamente nel tempo per l’accumulo dei materiali rocciosi presenti nel magma (divenuto lava una volta giunto in superficie); sono costituiti da:

- condotto o camino vulcanico: mette in comunicazione l’edificio esterno con l’area di alimentazione,

- bacino o camera magmatica: una zona, a 2-10 km di profondità, in cui il magma può ristagnare nella sua risalita,

- cratere: estremità aperta in superficie.

La forma di un vulcano dipende dai materiali eruttati e può essere:

- a strato: forma generalmente conica; fasi di effusioni laviche si alternano a periodi di emissioni esplosive di frammenti di lava che, depositandosi intorno al cratere, formano i piroclastiti (scorie, lapilli, ceneri);

- a scudo: forma appiattita dovuta alla notevole fluidità delle lave.

Materiali Eruttati

- Aeriformi: vapore acqueo, anidride carbonica, composti dello zolfo, dell’azoto, del cloro e del fluoro; innescano le eruzioni, contribuiscono a formare e ad alimentare l’atmosfera.

- Solidi: rocce effusive (originate dalle lave per raffreddamento), piroclastiti (formati dall’accumulo di frammenti solidi di varie dimensioni e natura).

Tipi di Eruzione

Possono alternarsi nel tempo in uno stesso vulcano; il tipo di eruzione dipende dalla fluidità del magma in risalita (ridotta nei magmi acidi -> lave riolitiche; elevata in quelli basici -> lave basaltiche) e dal contenuto in aeriformi (che influisce sulla capacità esplosiva).

Eruzione: hawaiiano
Attività vulcanica: effusiva dominante
Materiale eruttato: lava basaltica molto fluida
Forma del vulcano: a scudo, spesso con caldera (:depressione delimitata da pareti ripide, formatasi per il collasso del tetto della camera magmatica) sulla sommità.
Note: talvolta i gas liberandosi dal resto del magma trascinano getti di lava -> fontane di lava.

Eruzione: islandese
Attività vulcanica: effusiva dominante
Materiale eruttato: lava basaltica
Forma del vulcano: plateaux basaltici: espandi-menti lavici quasi orizzontali, dovuti alla fuoriuscita della lava attraverso lunghe fessure.

Eruzione: stromboliano
Attività vulcanica: effusiva prevalente, con esplosioni modeste più o meno regolari
Materiale eruttato: lava basaltica fluida piroclastiti, gas
Forma del vulcano: a strato
Note: Parte del magma solidifica nel cratere -> accumulo di gas -> esplosione

Eruzione: vulcaniano
Attività vulcanica: mista effusiva ed esplosiva
Materiale eruttato: lava acida (andesiti – orioliti), più plastica
Forma del vulcano: a strato
Note: esplosioni più rare e più violente

Eruzione: vesuviana
Attività vulcanica: mista effusiva ed esplosiva
Materiale eruttato: lava acida, piroclastiti, vapore
Forma del vulcano: a strato
Note: estrema violenza dell’esplosione iniziale (pliniana se particolar-mente intensa), forma una colonna di vapori e gas che si dispone a fungo.

Eruzione: pelèeano
Attività vulcanica: mista effusiva ed esplosiva
Materiale eruttato: lava acida molto plastica e non molto calda
Forma del vulcano: a cono / a guglia
Note: la lava espulsa quasi solida forma cupole o torri, grandi nuvole di gas e vapori alla base (nubi ardenti discendenti)

Tipi di vulcanesimo e disposizione geografica:

Vulcanesimo effusivo
Magma fluido (basaltico) risale verso la superficie, gli aeriformi in esso contenuti, dopo aver fatto saltare l’eventuale ostruzione, si liberano, la lava inizia a fluire rapidamente espandendosi anche su grandi distanze (plateaux e vulcano a scudo).

-La manifestazione più imponente è associata all’asse delle dorsali oceaniche: i materiali eruttati, a notevole profondità, si dispongono con una struttura a cuscino(pillow lava).

-Se l’eruzione sottomarina avviene a profondità moderata, l’eruzione della lava è accompagnata da esplosioni; l’edificio può arrivare ad emergere dal mare (es.: isola di Surtsei).

-Il vulcanesimo effusivo si associa anche ai punti caldi, zone con diametri dai 100 ai 200 km al di sotto delle quali si verifica una continua fusione del materiale del mantello alto (es.: isole Hawaii).

Vulcanesimo esplosivo


Magma plastico (acido) risale verso la superficie; i gas iniziano a liberarsi senza espandersi del tutto e la aumenta fino all’esplosione: i gas roventi fuggono dal condotto con violenza trascinando frammenti di rocce e lava : si forma una nube ardente, una sospensione (miscela eterogenea dispersa entro un liquido o un gas) ad alta temperatura che sale verticalmente a gran velocità; terminata l’energia, i gas si disperdono e scorrono lungo le pendici (colate piroclastiche), per formare, una volta fermatisi, accumuli di piroclastiti.
Nubi ardenti traboccanti fuoriescono da fessure lunghe vari km e danno origine a un accumulo piroclastico detto ignimbrite, formato da frammenti di vetro, rocce e cristalli.
Si parla di vulcanismo idromagmatico quando interagiscono magma a modesta profondità e acque di falda; queste passano allo stato di vapore bruscamente e l’enorme pressione così generata può far saltare la colonna di rocce sovrastanti, cui segue una colonna di vapore mista a piroclastiti; dalla base di tale colonna si espande la base surge, una nube densa di vapore e materiali solidi a forma di anello, molto veloce.
Questo tipo di vulcanesimo, caratterizzato da edifici a strato, si colloca lungo i margini continentali o lungo archi di isole (margini subduttivi, fosse abissali).
Lahar: colate di fango determinate dai detriti piroclastici incoerenti (granuli sciolti) che assorbono acqua fino a diventare saturi; quando la colata si arresta il fango indurisce trasformandosi in solida roccia.


Manifestazioni tardive:

1- dopo l’eruzione a lungo continuano a risalire gas residui accompagnati da acque termo-minerali (uso curativo);

2- i geyser si manifestano con una colonna d’acqua molto calda che viene spinta a grande altezza;

3- le fumarole e le mofète sono emissioni di acqua ed anidride carbonica.

VULCANESIMO SECONDARIO

Geyser
Una zona che è stata sede di attività vulcanica, una volta che questa si è estinta oppure attraversa una fase di temporanea inattività, può presentare svariati fenomeni che vanno sotto il nome di vulcanesimo secondario. Essi comprendono le fumarole, le solfatare, le mofete, i geyser, i soffioni boraciferi e le sorgenti termali.

Solfatara
Le fumarole emettono vapore acqueo, CO2 e idrogeno solforato; le solfatare emettono una maggiore quantità di idrogeno solforato; le mofete molta CO2; i geyser sono sorgenti di acqua e vapore bollente emessi ad intermittenza con intervalli regolari; i soffioni boraciferi emanano vapore ricco di acido borico; le sorgenti termali emettono acque ricche di gas più o meno caldi, talvolta arricchiti di minerali.

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI VULCANI

I vulcani recenti non sono distribuiti a caso sulla superficie terrestre, ma secondo precise fasce geografiche. La maggior parte dei vulcani subaerei (cioè posti su terre emerse) si trova lungo gli archi insulari ai margini dei continenti che fiancheggiano le fosse oceaniche (Ande). Si tratta di vulcani altamente esplosivi, alimentati da magmi in prevalenza acidii (andesitici e riolitici) e solo raramente basici (basaltici).
Altri vulcani subaerei si trovano all'interno di zolle sia continentali (Vesuvio, Etna, Africa orientale) sia oceaniche (Hawaii, Canarie).
Il sistema vulcanico più importante è, però, quello formato dagli innumerevoli punti di emissione allineati lungo le dorsali oceaniche, che alimentano un imponente vulcanismo sottomarino, con magmi basaltici: solo raramente tali edifici arrivano ad emergere (Islanda, Azzorre), ma l'attività fissurale è in pratica ininterrotta lungo tutto il sistema di dorsali:
La distribuzione geografica dei vulcani coincide in grandissima parte con quella dei terremoti: Ciò è dovuto al fatto che sismicità e vulcanismo sono fenomeni legati alla stessa causa, costituita dai movimenti litosferici provocati dai moti del sottostante mantello.

ATTIVITA' IGNEA E TETTONICA A ZOLLE

Come si è detto la maggior parte dei vulcani attivi è situata in prossimità di zolle convergenti, mentre un' estesa attività vulcanica è continuamente in atto, fuori dall' osservazione diretta, lungo i centri di espansione delle dorsali oceaniche. Esamineremo perciò dettagliatamente tre zone fondamentali di attività vulcanica e le loro correlazioni con l' attività tettonica globale. Tali zone si trovano lungo le dorsali oceaniche (centri di espansione), in prossimità delle fosse oceaniche (zone di subduzione) e dentro le zolle stesse (punti caldi).
Vulcanesimo di espansione. Le maggiori effusioni laviche avvengono lungo le dorsali oeaniche, dove è in atto una continua espansione dei fondali. Via via che la litosfera oceanica si sposta lateralmente, la pressione sulle rocce sottostanti diminuisce. Tale diminuzione abbassa il punto di fusione delle rocce del mantello. La fusione parziale di tali rocce genera magma basaltico, che migra verso l'alto andando a riempire le spaccature in continua formazione. Una parte del magma basaltico in risalita raggiunge il fondale oceanico, dove si espande in estese colate. A volte tale attività dà origine a edifici vulcanici che si innalzano fin sopra il livello del mare come accadde nel 1963 nel caso dell'isola di Surtsey. Numerosi coni vulcanici inattivi punteggiano i fianchi delle dorsali e le piane abissali. Gran parte di tali vulcani si sono originati lungo la cresta delle dorsali e successivamente si sono allontanati da essa in conseguenza del processo di espansione.

Vulcanismo nelle zone di subduzione.
La maggior parte dei vulcani attivi che emettono magma andesitico e riolitico si trovano lungo i margini continentali o gli archi insulari adiacenti a fosse oceaniche. Le fosse oceaniche sono i siti in cui porzioni di crosta oceanica si incurvano verso il basso e sprofondano nel mantello. Si ritiene che la crosta oceanica, raggiunta una profondità di circa 125km, inizi a fondere, la fusione parziale dei basalti ricchi in acqua e carichi di sedimenti dà origine ad un magma a composizione intermedia (andesitica). Poiché tale magma è meno denso della roccia circostante, migra verso l'alto. I vulcani andini sono esempi di tale meccanismo, mantenuto attivo dalla subduzione della zolla di Nazca al di sotto del margine pacifico del continente sudamericano. Processi analoghi alimentano i vulcani attivi della "Cintura di fuoco" del Pacifico.

Vulcanismo intraplacca.
Non è facile stabilire le cause di un'attività vulcanica intraplacca anche perché vi compaiono sia lave basiche che lave acide. Lorigine di tale attività va cercata nella fusione parziale di rocce del sottostante mantello superiore. E' probabile che una piccola percentuale di rocce dell'astenosfera si trovi allo stato fuso: da queste tasche di materiale fuso, salirebbero verso l'alto pennacchi di magma che spesso arriverebbero in superficie, risalendo lungo frature della litisfera e manifestandosi come punti caldi.
Lave e ceneri a composizione riolitica (acida) vengono eruttate da vulcani situati all'interno dei continenti. Una possibile spiegazione è che qualche settore della crosta continentale venga a trovarsi al di sopra di un pennacchio di magma in risalita. Il magma del pennacchio rimane intrappolato in profondità. Qui l'elevata temperatura provoca al fusione e l'assimilazione di porzioni delle rocce circostanti, per cui il magma viene contaminato, trasformandosi gradualmente in un magma secondario, ricco in silice, che lentamente risale verso l'alto.

IL VULCANESIMO NEL MEDITERRANEO

Il bacino del Mediterraneo è una zona di collisione tra due grandi zolle, quella eurasiatica e quella africana: la zolla africana si muove verso quella eurasiatica, comprimendo tutto il territorio del Mediterraneo e fratturando la crosta in una serie di zolle più piccole. Pur se dal punto di vista geologico la situazione è molto complessa, per quanto riguarda l'attività vulcanica, invece, si possono identificare due grandi regioni: quella egea e quella italiana. La regione dell'Egeo, caratterizzata oggi da un'attività vulcanica ridotta, è stata in passato teatro di violente eruzioni, tra le quali ricordiamo quella che distrusse quasi completamente l'isola di Santorino, intorno al 1400 a.C., producendo una grande caldera. Tale data corrisponde anche all'improvvisa scomparsa della civiltà minoica nell'isola di Creta: poich&eacuto nei pozzi dei palazzi cretesi sono state ritrovate pomici, segno di un'eruzione, gli studiosi hanno ipotizzato una relazione tra i due fatti.
La regione italiana è caratterizzata da un'attività vulcanica tuttora in atto, nella quale si possono distinguere tre diversi tipi di vulcanismo.
Il vulcanismo esplosivo delle isole Eolie comprende due vulcani, Stromboli e Vulcano, con atività differenti. L'attività di Stromboli è continua, con deboli esplosioni intermittenti a volte seguite da emissioni laviche. L'attività di Vulcano si sviluppa invece in due fasi: nella prima fase, per la viscosità della lava, si forma nel suo cratere una cupola di ristagno, mentre nella seconda, la cupola, a causa della pressione dei gas sottostanti, esplode e si frantuma, liberando il cratere per la successiva fuoriuscita di lava.
Il vulcanismo effusivo della Sicilia orientale (basaltico) è rappresentato specialmente dall'Etna, il più alto vulcano attivo d'Europa.
Al vulcanismo esplosivo della costa tirrenica meridionale si possono associare i Campi Flegrei, Ischia e, soprattutto, il Vesuvio. Proprio al vulcanismo dei Campi Flegrei risalgono le tipiche rocce della Campania; 35000 anni fa, infatti, in seguito a eruzioni si sono accumulati piroclasti che hanno dato origine al tufo grigio detto ignimbrite campana, mentre successive eruzioni hanno originato il tufo giallo che costituisce il basamento roccioso della città di Napoli. A Ischia il vulcanismo ha prodotto il tufo verde.
Devono inoltre essere ricordati i vulcani estinti del Lazio, caratterizzati da un'attività esplosiva in tempi abbastanza recenti (tra 430.000 e 90.000 anni fa) e oggi completamente spenti. La loro attività esplosiva ha prodotto aree di sprofondamento, nelle quali si sono formati laghi di forma tipicamente rotonda, quali i laghi di Bolsena, Vico, Bracciano, Albano e Nemi.

I VULCANI PIU' FAMOSI DEL MONDO

Diversi sono i vulcani del mondo che si ricordano per alcune loro caratteristiche. Tra questi ricordiamo: il Fujiyama, tipico stratovulcano del Giappone centrale, ha effettuato circa 15 eruzioni di ceneri e lava dal 781 d.C. ad oggi.

Il Krakatoa, stratovulcano insulare con una caldera sommersa nello stretto della Sonda, tra Giava e Sumatra. L'eruzione del 1883 fu una delle maggiori esplosioni naturali mai registrate, il rumore fu udito fino a 4000 km di distanza, in Australia. In seguito all'eruzione si formò una caldera di sprofondamento di 6 km di diametro, e l'onda di maremoto che ne seguì, alta 30 metri, fece 36000 vittime sulle coste basse di Sumatra e Giava. La sua ultima eruzione risale al 1980.

Tambora, è uno stratovulcano con caldera alla sommità, situato nell'isola di Sumbawa, probabilmente la sua eruzione del 1815 ha superato in dimensioni e potenza quella del Krakatoa. A causa dell'eruzione 10000 persone morirono e numerose altre soffrirono la fame per la perdita del raccolto e per la conseguente carestia in Europa e nell'America settentrionale.

Surtsey, piccola isola formata da un cono di scorie e colate di lava situata davanti alla costa meridionale dell'Islanda. Nata dal mare nel 1963 e in eruzione fino al 1967, ha offerto agli scienziati la possibilità di studiare la formazione di nuova terra e la colonizzazione di un nuovo territorio da parte di piante e animali.

La Soufriere, stratovulcano con duomo alla sommità, situato nella parte meridionale dell'isola di Guadalupe; ha eruttato con esplosioni circa una decina di volte dal 1400 ad oggi. Nel corso dell'ultima eruzione avvenuta nel 1978 i 70.000 abitanti furono evacuati per alcuni mesi.

Paricutin, cono di scorie e lava sorto nel 1943 in un campo di granoturco, sotto gli occhi increduli di un contadino. Nel suo breve periodo di vita ha costruito un cono alto 410 metri, con estesi campi di lava. Dal 1952 non è più attivo.

Popocatepetl, stratovulcano incappucciato di neve che si staglia contro il cielo di Città del Messico. Ha avuto undici piccole eruzioni esplosive tra il 1512 e il 1697; dopo una grossa esplosione nel 1720, si sono registrate soltanto tre piccole eruzioni, l'ultuma nel 1943.

Katmai (Alaska), stratovulcano con caldera e lago sulla sommità. L'eruzione del 1912 fù tra le più grandi avvenute nel mondo in tempi storici: in due giorni spessi depositi di cenere coprirono un'area enorme e una valanga incandescente colmò una valle larga 3 km e lunga 20 km, creando quella che viene definita "Valle delle Diecimila Fumate". La caldera sommitale, del diametro di 3 km, si formò per sprofondamento. L'ultima eruzione risale al 1974.

ERUZIONI IN EPOCA STORICA

Diversi sono i vulcani le cui eruzioni verificatesi in epoca storica si ricordano per la particolare violenza o per gli effetti devastanti.

Il Vesuvio, situato nei pressi di Napoli, è caratterizzato da un'attività ciclica: a un'esplosione segue infatti un periodo di effusioni laviche tranquille; negli ultimi 25.000 anni pare che tali eruzioni siano state solo sette: La più violenta, dopo quella di Pompei del 79 d.C., fu quella del 1631. Dal 1944 il Vesuvio è in una fase di riposo; tuttavia i vulcanologi prevedono una ripresa dell'attività nel prossimo secolo. Il Vesuvio è tristemente famoso per la storica eruzione verificatasi nel 79 d.C., durante la quale furono distrutte Pompei, Ercolano, Oplonti e Stabia. I vulcanologi hanno cercato di ricostruire le varie fasi dell'eruzione. Probabilmente si generò una instabilità nella camera magmatica in seguitoal rimescolamento di magma proveniente dal basso con quello Parzialmente cristallizzato che già vi si trovava. Qeusta instabilità si moanifestò sotto forma di tremori del suolo; contemporaneamente si formò una grande e altissima nube, il pino vulcanico, che scese lungo i fianchi del Vesuvio investendo la città di Ercolano. Questa eruzione preliminare fu seguita da un periodo di calma, che fece pensare alla cessazione dell'attività. La camera magmatica, in parte svuotata del suo contenuto, venne probabilmente invasa da acqua proveniente da una falda sotterranea: per l'elevata temperatura l'acqua vaporizzò e provocò un'enorme pressione che determinò un'esplosione con la conseguente formazione di una nube ardente che invase Pompei, uccidendo per soffocamento gli abitanti; le ceneri che si depositarono seppellirono completamente la città, mentre Ercolano fu investita da una colata di fango dello spessore di 10 metri. Dopo il 79 d.C. non si sono registrate eruzioni altrettanto violente.

L'Etna sorge sulla costa orientale della Sicilia. Nelle cronache storiche che si riferiscono agli ultimi 2000 anni si trovano frequentemente notizie delle sue eruzioni; tra esse vanno ricordate quella del1669, che distrusse parte della città di Catania, e quella del 1928, nel corso della quale la lava giunse quasi al mare e distrusse la cittadina di Mascali, in seguito ricostruita in una zona più vicina alla costa.
Le prime manifestazioni in quest'area del mediterraneo risalgono a 700.000 anni fa, e si trattò esclusivamente di emissioni sottomarine. In seguito la zona si solleò ed emerse dal mare un cono vulcanico a scudo, che tuttora costituisce la base dll'Etna: inizialmente, dunque, il magma era basaltico e derivava dal mantello, mentre in seguito si sarebbe verificata una modificazione che lo avrebbe reso leggermente acido. L'Etna attuale è infatti uno stratovulcano, con un'alternanza di piroclasti e lava.
In passato devono essersi verificate anche violente esplosioni con formazione di caldere, ancora oggi visibili sul fianco orientale. Dalla fusione di alcune caldere si sarebbe originata la cosiddetta Valle del Bove, lungo la quale spesso si è incanalata la lava nel corso delle eruzioni. Oltre al cratere sommitale, esistono crateri secondari laterali, situati oltre i 1000 metri di quota.
Tra le eruzioni più recenti ricordiamo quelle del 1983 e del 1992: quest'ultima minacciò seriamente la cittadina di Zafferana. Poche settimane fa l'Etna si è nuovamente fatto vivo con fontane di lava e lancio di materiale piroclastico.

La Peleacutee, vulcano esplosivo della Martinica, nel 1902 distrusse completamente la città di Saint-Pierre, posta ai suoi piedi, con una nube ardente che distrusse, nel giro di pochi minuti, tutto ciò che incontrò sul suo cammino: le vittime furono 32.000.

IL VULCANESIMO - Un pò di Storia

La preistoria: l’origine del mito
In un'area di antica civilizzazione come è quella mediterranea, molti dei miti e delle leggende su eruzioni preistoriche sono stati cancellati da successive stratificazioni culturali. In tutte le culture mediterranee esistono riferimenti a culti specifici correlabili a quello primordiale del fuoco sotterraneo. Certo è che i crateri infuocati dei vulcani mediterranei dovevano apparire ai naviganti antichi come altrettanti occhi fiammeggianti di esseri giganteschi identificati, in epoca greco-romana, con i Ciclopi.
Presso i popoli Italici esisteva un etimo Volcanus, Volkanus o Vulcanus, forse di origine indo-europea associato a una divinità messa in relazione al fuoco vulcanico, se è vero che il suo culto aveva uno dei principali centri a Pozzuoli, nei Campi Flegrei (Strabone, V, 246). I Romani ereditarono questo culto dagli Etruschi e finirono per identificare questa divinità con il dio greco Efesto, che impersonava pienamente la forza creatrice dei vulcani. Sembra che il culto di Efesto derivasse ai Greci dai popoli dell'Asia Minore e Cicladici e quindi abbia una sorgente diversa rispetto a quella del dio Vulcano. Questo non fa molta differenza, perché certamente i popoli medio-orientali avevano avuto che fare con le eruzioni dei vulcani delle Cicladi e dell'Anatolia almeno quanto gli Etruschi e gli altri popoli pre-romani con quelle dei vulcani italiani. Il culto di Vulcano fu molto importante soprattutto durante la prima fase della storia della religione nell’antica Roma. Egli era associato con Maia, l’incarnazione della Madre Terra e con Vesta, la dea della Terra. Vulcano era il padre di Caco cui era attribuita la paternità di Servio Tullio, Re di Roma.
L'intrecciarsi di miti, nati da reminescenze di vecchie eruzioni vulcaniche di diversa provenienza geografica e culturale, è verosimilmente anche alla base delle leggende più famose nell'area mediterranea: La distruzione di Atlantide; la guerra fra i giganti e Zeus; Prometeo che ruba il fuoco agli dei per darlo agli uomini; il ciclope Polifemo ed Ulisse; la Fucina di Vulcano, fabbro di Zeus; l’Averno e la porta degli Inferi.
Tra queste la più interessante, perchè direttamente correlabile a una eruzione identificabile, è quella relativa alla scomparsa di Atlantide di cui riportano molte fonti intorno al V secolo a.C.. Platone (c. 429-347 a.C.) nei suoi dialoghi di Timeo e Krizia presenta questa storia come raccontata a Kritias dal suo bisnonno, che l’aveva sentita da suo padre Dropides che l’aveva ascoltata dal saggio legislatore Solone (c. 640-560 a.C.), che a sua volta l’aveva appresa da alcuni sacerdoti egizi ma riferita a un violento terremoto o maremoto. Dall’impianto narrativo è chiaro che l’intento platonico è di allontanare e confondere nel tempo le origini della stessa storia in modo da poterla presentare già come mezza realtà e mezza fantasia.
Nel mito Atlante è il figlio maggiore della Ninfa Climene e di un Titano (oppure, nella versione egiziana del mito, di Poseidone). Uno dei suoi quattro fratelli era Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dei per ridarlo agli uomini. La stirpe generata da Atlante, grande conoscitore di tutti i segreti del mare, è un popolo marinaro che vive su di una terra situata oltre le Colonne d’Ercole, che si chiama Atlantide. Come in tutti i miti, i motivi della caduta di questo popolo immensamente ricco e virtuoso, sono di ordine morale. I Keftiù, il popolo che abitava la terra di Atlantide, si lasciarono un giorno vincere dalla crudeltà e dall’avidità, cessando di condividere e ripartire con gli altri le loro immense ricchezze e le loro straordinarie conoscenze del mare. Per questo la loro isola venne distrutta in una notte ed un giorno dagli Dei (c’è chi parla invece degli Ateniesi, autorizzati dagli dei). In questo breve lasso di tempo i porti ed i templi furono sommersi dal fango ed il mare divenne impraticabile, l’isola felice scomparve e con essa la sua civiltà.
Un’altra leggenda suggerisce un possibile legame tra maremoto, eruzione vulcanica e l'enigma della scomparsa di Atlantide. Talos, in origine divinità solare ma in mitologia il guardiano di Europa e poi di Creta, creato da Efesto manifestava la sua costituzione "vulcanica" scagliando massi contro gli intrusi (Apollonio Rodio, Argonautiche) o li bruciava (Simonide) o si arroventava e li stringeva in un abbraccio mortale (Eustazio) e aveva lava al posto del sangue (Apollonio Rodio, IV; Apollodoro). Talos sarebbe l’impersonificazione del vulcano di Santorini scenario di un'eruzione che potrebbe aver avuto pesanti conseguenze per la civiltà Cretese.
In base a questa interpretazione, ma soprattutto alla luce dei reperti archeologici rinvenuti a Santorini negli anni ‘60-’70, l’archeologo greco Marinatos diede un’interpretazione in chiave vulcanologica del mito di Atlantide. Egli notò che i siti minoici nell'isola di Santorini erano coperti da depositi vulcanici prodotti da una eruzione avvenuta tra il 1550 e il 1450 a.C. secondo la datazione con il radio carbonio dei frammenti lignei presenti alla base della sequenza eruttiva. Questa data sembrava in buon accordo con l'inizio della decadenza di Creta. Inoltre l’isola e la civiltà di Santorini potevano corrispondere, non solo alla descrizione di Atlantide, ma anche la sequenza di eventi eruttivi sembrava adattarsi al racconto della distruzione. Il grande volume di pomici emesse che ostacolano la navigazione, l’emissione di grandi nubi ardenti che avrebbero seppellito i templi ed i palazzi di Atlantide ed un collasso calderico finale responsabile della sparizione nel mare dell’isola di Atlantide, tutto corrispondeva alla descrizione Platonica. Inoltre onde di maremoto, partite da Santorini, sarebbero potute risultare distruttive non solo a Creta ma in tutte le zone costiere del mediterraneo orientale. Secondo Marinatos tale eruzione sarebbe stata responsabile dell’istantaneo decadere della civiltà minoica di Creta e spiegherebbe la nascita del mito di Atlantide, oltre a fornire uno spunto interpretativo all'episodio biblico del regresso del Mar Rosso e successivo maremoto durante la fuga dall'Egitto del Popolo Ebraico guidato da Mosè. In realtà, se l’identificazione dell’isola di Santorini con Atlantide resta un’ipotesi affascinante e verosimile, dopo 25 anni di discussione tra archeologi e vulcanologi il ruolo dell’eruzione di Santorini nel determinare il collasso della civiltà minoica è stato molto ridimensionato.
L’isola di Santorini è stata abitata, sino da epoche preistoriche, da popolazioni cicladiche in stretto contatto con i Cretesi e aveva sviluppato nella media età del bronzo una fiorente e raffinata civiltà raffigurata negli stupendi affreschi di Akrotiri. Tutto questo fu spazzato via a seguito degli sconvolgimenti geologici avvenuti durante il XV secolo a.C. Tuttavia questi eventi furono catastrofici solo a Santorini mentre, per esempio, l’isola di Creta fu interessata solo marginalmente da modeste ricadute di cenere. Anche gli effetti di un possibile Tsunami scatenato dall’eruzione potrebbero essere stati sovrastimati. Nella stessa Santorini lo studio dei siti archeologici ha dimostrato che l’eruzione avvenne quando l’isola era stata già sostanzialmente abandonata dagli abitanti. Ad Akrotiri non sono stati trovati corpi o oggetti preziosi, segno che gli abitanti avevano lasciato il sito in largo preanticipo rispetto l’eruzione. Si ritiene che questo avvenne per due motivi. Un forte terremoto avrebbe seriamente danneggiato le città molti mesi prima della prima fase eruttiva, sono stati infatti trovati pile di materiali di recupero, evidenze di lavori di riparazioni provvisorie e tracce di nuovi impianti edilizi. Inoltre il primo strato di pomici che si ritrova sul substrato archeologico, spesso solo tre centimentri, si riferisce a una piccola esplosione avvenuta almeno 2 o tre mesi prima di quella catastrofica. Il terremoto e questo primo evento eruttivo avranno convinto gli abitanti ad abbandonare l’isola. Quando avvenne l’eruzione parossistica grandi blocchi vennero scagliati sulle case che furono sepolte prima da un metro di pomici grossolane e poi da molti metri di ceneri.
In conseguenza dell’eruzione e della formazione di una caldera vasta più di ottanta chilometri quadri e con subsidenza fino a 800 metri, l’isola fu frammentata in tre pezzi: Thera, Therasia e Aspronisi (a sinistra) che rimasero disabitati per alcune secoli fino a quando, secondo Erodoto, i Fenici non la ricolonizzarono, nel 1330 a.C, chiamandola Kalliste. Il vulcano rimase apparentemente quiescente durante tutta l’epoca in cui l’isola fu prima, dal 1115 a.C., colonia della Lacedonia e poi base navale dei Tolomei durante il periodo ellenistico (300-145 a.C). Nel 197 a.C si ebbe una prima eruzione seguita da altre due nel 19 d.C, nel 46, altre nel II e III secolo e una certa nel 726. Durante queste eruzioni si formarono le isolette Kamenis (Thiressia e Palea Kameni). Seguirono altre eruzioni tra cui quella del 1570 o1573 che seppellì un porto nella parte più meridionale dell’isola e quella del 1650. L’eruzione del 1707-78 portò alla formazione di Nea Kameni molto attiva con eruzioni nel 1866-70, 1925-26, 1928, 1939-41 e 1950. Nel contempo sono ricordati molti terremoti tra cui quello rovinoso del 1956.
Per la mitologia greco-romana i vulcani erano dimora di divinità, in particolare vi erano sepolti i Giganti che avevano tentato di assalire l'Olimpo (Strabone). Il mito racconta che Atlante e suo fratello Menezio, che scamparono al disastro di Atlantide, per vendetta contro Zeus che aveva permesso la distruzione dell’isola, si allearono a Crono (il "tempo", ovvio nemico degli dei immortali) ed agli altri Titani nella loro guerra contro gli dei dell’Olimpo. La battaglia decisiva, durante la quale gli dei sconfiggono i Titani, si svolge sopra i Campi Flegrei. Zeus abbatte con una folgore Menezio e lo rinchiude nel Tartaro (sotto i Flegrei), mentre condanna Atlante a portare per l’eternità il cielo sulle sue spalle. Terminata la battaglia contro i Giganti non termina però la sequenza di eventi naturali cataclismatici che punteggia la storia della civiltà ed ecco nascere, per spiegare questi nuovi eventi, i 24 Giganti generati dalla madre Terra (a Flegra, in Tracia, nella versione greca del mito, zona caratterizzata anch’essa dalla presenza di vaste coltri ignimbritiche), che danno nuovamente l’assalto al cielo degli dei, per vendicarsi di Zeus che ha in parte ucciso ed in parte confinato nel Tartaro i Titani loro fratelli. La battaglia decisiva si combatte a Bato, presso Trapezunte in Arcadia secondo una versione del mito oppure ancora una volta sopra i Campi Flegrei, presso Cuma (secondo Omero), le cui mura "ciclopiche" si dice che siano state progettate da Dedalo fuggito da Creta. Ognuno dei Giganti viene imprigionato ancora vivo sotto un masso scagliatogli contro da Zeus o da qualche altro dio dell’Olimpo. Nella furia della lotta, Poseidone stacca con il suo tridente un pezzo dell’isola di Kos (Nisiros) e lo scaglia contro il gigante Polibòte, che vi rimane imprigionato sotto. Ma basta una rapida scorsa ai nomi degli altri Giganti per accorgersi che anche loro vengono sepolti sotto altrettanti vulcani od isole vulcaniche. Tifone o Encelado nell'Etna, Tifeo a Ischia, altri sotto i Campi Flegrei, Polibote, appunto, sotto Nisiros.
Nella scelta dei luoghi chiave del mito dei Giganti e dei Titani, quindi, sono evidenti i riferimenti a luoghi devastati da cataclismi vulcanici, in particolare è possibile che vi si intraveda una reminiscenza dell’attività vulcanica preistorica dei Campi Flegrei, quiescenti durante l’epoca classica. Ma anche il modo di combattere dei Giganti, che lanciano massi e tizzoni ardenti dalle cime delle loro montagne, ricorda l’attività vulcanica; per dare la scalata all’Olimpo essi si arrampicano l’uno sulle spalle dell’altro, similitudine che verrà usata sino agli albori del XVII secolo per descrivere il modo di espandersi verso l’alto di un pino vulcanico.
In tempi più recenti, presso l'antica Roma esiste un episodio eroico che potrebbe essere interpretato come la testimonianza indiretta di un’eruzione storica nell'area dei Colli Albani. Tuttavia esso è da considerare con molta cautela visto che si potrebbe trattare di un mito eziologico inventato per spiegare il nome lacus Curtius riferito a uno stagno presente nell'area del foro Romano. In occasione del terremoto del 362 a.C. l'oracolo predice che solo il sacrificio del più grande tesoro di Roma avrebbe chiuso la voragine infuocata apertasi nella zona del lacus Curtius. Marco Curzio ritenendo che la giovinezza e il valore militare fossero il bene più prezioso ci si precipitò in arme scongiurando l'eruzione.


L’età classica: i filosofi greci e i naturalisti romani
Un superamento all'approccio mitico e sovrannaturale si deve ai filosofi greci che a partire da Talete di Mileto, nel VI secolo a.C., iniziarono ad analizzare i fenomeni geologici da un punto di vista naturalistico, basandosi oltre che su considerazioni speculative anche sulle relazioni di causa-effetto. Per esempio, Democrito avanzò l’ipotesi che tutta la materia fosse costituita da atomi e su questa base offrì una spiegazione razionale di terremoti, eruzioni vulcaniche e altri fenomeni geologici. Di questi filosofi è importante notare il fatto che cercarono anche di recuperare i motivi razionali presenti nel mito e tentarono di identificare anche le cause remote del formarsi del mito stesso.
L'Etna era già fonte di ispirazione poetica già intorno al 470 a.C., quando Pindaro dedicò la prima Ode Pitica alla fondazione ufficiale della nuova città di Etna sotto Diomede figlio di Ierone. Egualmente antica è la citazione di Eschilo nel Prometheus Vinctus. Platone (427-347 a.C.) si recò in Sicilia nel 387 dove visitò l'Etna ed elaborò per primo il concetto di fuoco centrale. Nel Timeo, che si occupa di Scienze Naturali, afferma inoltre che la terra si è fusa per effetto del calore e poi raffreddandosi si è trasformata in roccia. Aristotele (384-322 a.C) diede il nome 'cratere' alle bocche vulcaniche e nei Meteorologica tratta i processi atmosferici e geologici postulando che dal riscaldamento della Terra ad opera del Sole si generi la necessità di una esalazione secca, o soffio, principio dei venti, dei terremoti e delle eruzioni vulcaniche. A queste ultime non presta particolare attenzione ma ne riporta una, avvenuta nell'Isola di Hiera (Vulcano), descrivendola come un sollevamento o rigonfiamento del suolo seguita da un soffio che depositò ceneri sulla città di Lipari e altre sulla costa Italiana (Meteorologica, 367, 5-10). L'idea di una terra cava si radicò nei suoi successori, come Teofrasto e gli Epicurei, implicando che i terremoti e i vulcani fossero in connessione a vuoti o condotti sotterranei in cui il soffio potesse innescare vibrazioni e combustioni. Tali credenze, e in particolare la presenza dei "vuoti o canali sotterranei" sono incredibilmente ancora presenti in tracce anche nel substrato popolare italiano attuale. Dopo Aristotele la figura di maggior spicco nel campo delle Scienze Naturali fu Posidonio (c.135-50 a.C.), anche se la sua opera giunta a noi molto frammentaria non ci consente di precisare quale fosse il ruolo dei vulcani nel suo "sistema" naturale. Notizie indirette ci provengono dalle riprese di successivi autori romani. Gli storici e i geografi greci, da Tucidide (circa 460-400 a.C.) a Strabone (64- a.C-21 d.C.), hanno lasciato descrizioni oggettive e prodotto cataloghi delle eruzioni vulcaniche in genere evitando di addentrarsi nella spiegazione dell'origine dei fenomeni magmatici, tranne quando invocano le teorie aristoteliche. Strabone, nella Geografia, descrive dettagliatamente i prodotti, le fasi eruttive e le differenti morfologie dell'Etna, dei vulcani campani e eoliani e riporta, inoltre, eruzioni sottomarine alle Eolie e nel Canale di Sicilia (libro VI).
Dal punto di vista letterario i Romani raccolgono l'eredità greca, per esempio nell' Aetna, poema didattico in 646 esametri di autore ignoto, scritto probabilmente tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo d.C. e che forse faceva parte di un'opera di mole molto maggiore, si riprendono le argomentazione aristoteliche della "Meteorologia" e si attinge come fonte scientifica a Posidonio. Aristotele e Posidonio influenzarono grandemente due dei maggiori naturalisti romani, Lucrezio (98-55 a.C.) e Seneca (c.5 a.C.- 66 d.C.). Lucrezio osservò che le fiamme dell'Etna vengono emesse da fratture rettilinee. E'il primo riferimento ad eruzioni lineari e non centrali. Seneca nelle Naturales Questiones mise in relazione i vulcani attivi con focolai magmatici profondi; contemporaneamente si fa anche più chiaro che i vulcani emettono masse ignee più che soffi infuocati. All'epoca di questi due autori i vulcani campani erano ancora quiescenti e quindi l'attenzione si accentrò sulle isole Eolie e soprattutto sull'Etna, che fu costantemente visitato dato che sulla sua sommità si trovano resti di edifici romani e che anche l'imperatore Adriano volle salirvi. Le isole Eolie, ma soprattutto Hiera (Vulcano) e Strongyle (Stromboli), sono citate da Plinio (Naturalis Historia, libro III), Polibio (Storia Universale, I) e Cicerone (In Verrem, libro III); l'Etna è citato da Lucrezio (De Rerum Natura, VI), Virgilio (Eneide, III), Aulo Gellio (Noctes Atticae, XVII).
Nonostante le influenze greche esiste anche un aspetto originale nella letteratura romana. Animati da uno spirito pragmatista, i Romani si interessarono dei vulcani anche da un punto di vista più "tecnico" incominciando a descrivere dettagliatamente le caratteristiche identificative, i possibili utilizzi e la nomenclatura dei prodotti vulcanici come nel De Architectura di Vitruvio (seconda meta del I secolo a.C.). Plinio (23 a.C.-79 d.C.) compila una lista di dieci vulcani attivi allora conosciuti e anche Ovidio (43 a.C.- 17 d.C.) ne parla. Gli autori Romani hanno una visione più realistica, rispetto a quella aristotelica, della complessa composizione dei materiali vulcanici e indagano sulla possibile origine dei fuochi sotterranei indicando lo zolfo, il bitume e l'allume come possibili comburenti oltre all'aria e all'acqua. I Romani utilizzarono ampiamente i prodotti vulcanici nell'edilizia e per ottenere cementi idraulici, i loro ingegneri erano in grado di riconoscere questi materiali ovunque si trovassero. Inoltre essi avevano anche la cognizione precisa della natura vulcanica oltre che delle zone attive anche di quelle quiescenti. Quindi, rispetto ai predecessori Greci, i Romani ebbero una visione pragmatico-geologica e non filosofica del fenomeno vulcanico. Sebbene sia stato Strabone (Geografia, 5-6) a fornire un catalogo aggiornato dei vulcani "attivi" italiani verso la fine del I secolo a.C., il fatto che un'attività vulcanica non remota avesse interessato l'Isola d'Ischia era palese ai Romani (Livio, Ab Urbe Condita, VIII) così come per i Campi Flegrei e il Vesuvio (Vitruvio, DArch., IX; Seneca, NQue., VI; Silio Italiaco post Varrone?; Beroso, Babiloniaca, I, apocrifo?). L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. colpì moltissimo i Romani ed ebbe una vasta eco letteraria, oltre agli scritti di Plinio il Giovane (Epistulae, VI, 16 e 20), ne parlano Marziale (Epigrammaton Libri, IV, 44), Tacito (Annales, XIV, 17 e XV, 22; Historiae, I, 2); Svetonio (Divus Titus, 8, 3) e Cassio Dione (Storia di Roma, LXVI, 21-4).
Tuttavia, dopo il I secolo d.C. gli studiosi si limitarono a riassumere e a diffondere le scoperte dei loro predecessori, i quali, tramite i commentatori greco-bizantini, vennero conosciuti dagli scienziati arabi sui quali esercitarono il loro influsso. Solo in questo modo si sono conservate, per esempio, presso gli arabi di Spagna, cronache riguardanti eruzioni nelle isole Canarie.


IL VULCANESIMO FLEGREO

I segni del vulcanesimo flegreo sono evidenti ovunque. Da Monte di Procida, alla collina di Cuma, nelle piane di Quarto e Soccavo si notano i prodotti vulcanici più antichi. Si contano, o meglio si contavano a decine le cinte crateriche nei Campi Flegrei. I prodotti più antichi, secondo metodi scientifici di moderna applicazione, risalgono a ottantamila anni fa.Per comprendere la formazione del territorio va subito detto, anche se in modo molto breve, che i tre periodi che caratterizzano i prodotti vulcanici fanno riferimento all'ignimbrite campana, con eruzioni su eruzioni e su un'area di circa 30.000 kmq. Poi, dodicimila anni fa, si ebbero eruzioni caratterizzate dal tufo giallo napoletano. A questo periodo si riferisce la formazione della caldera (bacino magmatico), comprendente le baie di Pozzuoli e di Napoli. In altre parole, il vulcanesimo (si sa bene che tutto il territorio è di origine vulcanica) è concentrato in tre epoche comprese tra 12.000 e 9.500 anni fa. L'ultima eruzione, come si ricorderà, risale al 1538,con la nascita di un monte (Monte Nuovo).
Tutto questo per introdurre il vulcano Solfatara, vulcano allo stato di quiescenza, o meglio allo stato di solfatara. Ha una forma quasi rettangolare, è situato nella parte centrale della caldera flegrea ed è uno dei più recenti vulcani (4.000 anni) della terza "epoca di attività della caldera. Le varie eruzioni della Solfatara hanno provocato la formazione di un deposito piroclastico, con alternanza di ceneri e pomici. Al cadere di un sasso, ad esempio, tutt'intorno rimbomba: è il classico modo per verificare e dimostrare al visitatore come sotto i suoi piedi si trovi un banco poroso e compatto.Anche il fenomeno della ionizzazione dell'aria viene dimostrato con l'accensione di una torcia che provoca fumo dappertutto.Del resto, l'intensa attività fumarolica e idrotermale,famosa nei secoli passati ed anche oggi, conferma come questo vulcano abbia sempre alimentato la fantasia degli uomini, tanto che Strabone lo definì. Forum Vulcani", sede infernale, il regno del Fuoco.La temperatura dei vapori oscilla tra i 130 e i 160°C: si tratta di vapore acqueo surriscaldato e mescolato con minime quantità di anidride carbonica e idrogeno solforato.La "Bocca Grande" fa spettacolo a sé con emissione di vapori ad alta temperatura. Ed intorno pareti di fumo, tipico e classico scenario di un inferno che non finisce mai. E consentiteci, qui, un ricordo, legato al film "47, il morto che parla". Incontrammo Totò, il principe della risata, che girava con i suoi"fantasmi". La Solfatara si faceva, così, scenario naturale e ideale.
Nel '600, '700 e agli inizi dell'800, dignitari delle Corti europee scendevano quaggiù per ammirare "cose strane a dirsi", per vedere non soltanto "ruine" e antichità, ma anche e soprattutto questi "fantasmi" della Solfatara di Pozzuoli, ove, sino a cinquanta anni fa, si svolgevano duelli più o meno cruenti.Dopo il viale delle ginestre vi sono le "stufe", due grotte scavate nella roccia vulcanica per la "cura della pelle e delle malattie delle vie respiratorie".E' per ultimo, la 2fangaia" (acqua piovana di condensazione dei vapori).Il poeta s. di Giacomo amava a non finire questo luogo,tanto da dedicare ad esso un piccolo e prezioso libro, ad esaltazione di un vulcano che generazioni intere hanno visitato ed amato.Si dice (ed è vero) che dall'umore del vulcano(con sussulti e movimenti) sia possibile capire l'evoluzione negativo positiva del bradisismo. E poi, dicono che s'è fatto vecchio...

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